Museo Archeologico Capialbi (Vibo Valentia)

Progetto museologico

Il Museo Archeologico “V. Capialbi” si pone come un organismo flessibile capace di comunicare con l’esterno attraverso un linguaggio semplice e percepibile; un’istituzione aperta che interagisce con il pubblico e con il territorio, mediante una costante attività di formazione culturale. Il nucleo originario del museo, oltre ai reperti provenienti dagli scavi effettuati nella città, comprende anche elementi delle collezioni private. L’esposizione è proposta in modo da offrire al pubblico elementi per la conoscenza della cultura e della storia della città a cui il museo appartiene, mediante l’osservazione dei reperti rinvenuti nelle indagini archeologiche. L’allestimento si snoda attraverso le sale del Castello Svevo – Normanno seguendo una distinzione cronologica e per zone di provenienza. Il percorso inizia al piano superiore, dove sono esposti reperti provenienti dalle aree sacre del territorio, il piano inferiore accoglie invece i reperti provenienti dalla necropoli occidentale della città, altre sale sono utilizzate in occasioni di mostre temporanee attraverso le quali si realizza l’idea di museo flessibile, che si rinnova continuamente a seconda delle esigenze del pubblico. Ad integrazione del percorso, è stato organizzato un allestimento per non vedenti in modo da rendere il museo maggiormente fruibile. Motivo conduttore e determinante dell’allestimento è stato il rispetto dell’edifico preesistente, cercando quindi, il giusto equilibrio tra le esigenze tecnico-museali e la necessità di lettura degli ambienti del castello.

Progetto museografico

Nella prima parte del percorso, le vetrine con sezione a trapezio, formano un unico impianto composto da cinque contenitori, completamente trasparenti e modulari, disposti a scacchiera, allineati nel senso longitudinale della sala. L’inclinazione delle due pareti in cristallo dei lati lunghi, permette di ridurre gran parte dei riflessi di luce provenienti dalle finestre. Altre vetrine di forma parallelepipeda a colonna, di varie dimensione, sono disposte nelle sale per sottolineare alcuni passaggi fondamentali del percorso, evidenziando ed isolando, gruppi di reperti connessi a particolare esigenze interpretative. Nella sale successive, le dimensioni inferiori e le altre caratteristiche degli ambienti hanno condizionato la scelta di utilizzare vetrine addossate alle pareti, pur mantenendo per esse la stessa impostazione tipologica delle precedenti. I pannelli didattici complementari alle vetrine, sono del tipo a leggio e a parete. I primi riprendono i motivi formali delle vetrine, a cui sono affiancati, e sono caratterizzati dalla massima semplicità per non interferire con il contenuto didattico. Quelli a parete, tutti di identiche dimensioni, sono anch’essi realizzati con strutture molto lineari: due fermavetro in metallo, che ne definiscono i lati inferiore e superiore e ne costituiscono la struttura portante.

L’illuminazione dei reperti e degli accessori didattici è assicurata da plafoniere con lampade fluorescenti interne alle vetrine e apparecchi applicati ad una struttura sospesa con guida elettrificata. Il museo archeologico di Vibo Valentia, è stato fondato nel 1969, con il patrocinio del Lions Club locale, sotto la presidenza del dott. Vincenzo Nusdeo, Ispettore Onorario alle Antichità hipponiati e dall’allora Soprintendente Archeologico, Dott. Giuseppe Foti. Il nucleo originario del museo, oltre ai materiali provenienti dagli scavi effettuati nella città, comprende quelli raccolti nelle collezioni private. Per molti anni il museo è stato ospitato nell’ottocentesco Palazzo Gagliardi e solo di recente è stato trasferito presso il Castello Normanno – Svevo. Il monumento è stato restaurato a cura della Soprintendenza ai beni Architettonici e Paesaggistici della Calabria. Il riutilizzo del palazzo come sede del Museo Archeologico Statale, offre dei vantaggi, perché diventa un contenitore parlante dei manufatti archeologici e si individua come polo aggregante del vasto centro storico medievale di Vibo Valentia. Il Castello pone non pochi problemi a livello logistico, per l’esiguità degli spazi per i magazzini e difficoltà di allestimento dovute alla poco luminosità delle sale. Si è tentato di risolvere i problemi espositivi, mediante l’impiego di particolari accorgimenti. Non senza difficoltà è stato l’operazione di inserimento della moderna attività museale in ambienti appartenenti ad un organismo costruito in tempo remoto

e per altri usi. Si è cercato di rispettare l’architettura, al tempo stesso si è mediato tra gli aspetti di organizzazione spaziale e l’istallazione di impianti tecnologici previsti dalla normativa vigente. Tale attività fa in modo che il contenitore assuma esso stesso la funzione di elemento del tutto integrato con la città e con il suo territorio.

Descrizione

Il museo è diviso in quattro sezioni principali: reperti da edifici sacri, da necropoli, da collezioni private e i materiali d’età romana.

L’esposizione ha inizio con oggetti di età protostorica, frutto di scavi nella zona, come quello di una capanna dell’Enolitico. Figura una spada del XIII secolo a.C., ritrovata fortuitamente presso una tomba del VI secolo a.C. Al primo piano sono esposti reperti dalle quattro aree sacre della città magnogreca, tra cui:

  • dalla contrada Scrimbia provengono reperti databili tra la fine del VII e la fine del V secolo a.C., con ceramiche corinzie,rodie e attiche, anche di grandi dimensioni, bacili ed elmi in bronzo, statuette votive e oreficerie di notevole qualità inoro, argento e vario, tra cui orecchini, anelli, fibule, spilloni. Sempre dalla stessa area provengono frammenti architettonici, databili intorno al 550 a.C. di un grande tempio dorico ancora non localizzato.
  • da Cofino provengono alcuni pinakes di produzione tipica di Locri Epizefiri e due modellini di tempio in terracotta, ricchi di dettagli.

Il piano inferiore espone reperti provenienti dalle necropoli, databili tra la fine del VII e il IV secolo a.C., tra i quali spicca una laminetta in oro con un’iscrizione in dialetto dorico-ionico che attesta il culto orfico, con consigli per il defunto nell’aldilà. Fu trovata in una tomba di donna databile tra il V e il IV secolo a.C.
Il reperti della necropoli ellenistica di contrada Piercastello testimoniano al presenza dei Bruzi nella zona, e spicca per la presenza di due guerrieri in ceramica provenienti una tomba a camera monumentale della fine del III secolo a.C.

Tra i nuclei antiquari privati spiccano le ceramiche architettoniche, come le terrecotte arcaiche dal santuario di Scrimbia, leantefisse a palmetta e a maschera silenica e le sime dipinte. Tra la ceramica di trovano lekythoi attiche a figure rosse.

Interessante è il monetiere Capialbi, che contiene alcuni rarissimi aurei locresi. Nell’ultima sezione, dedicata all’epoca romana, sono custoditi reperti proveniente da Sant’Aloe dove sono state rimesse in luce varie domus e un impianto termale con splendidi mosaici; inoltre poco distante da lì negli anni ’70 è venuto alla luce un ripostiglio monetale di 867 monete d’argento Brettie databili alla fine del III secolo a.C. Da questa località provengono anche vasi in terracotta sigillata e statue marmoree, fra le quali spicca un busto di Agrippa, di ottima qualità artistica. Sono presenti anche alcuni corredi sepolcrali di età romana con lucerne dalle decorazioni molto raffinate, contenitori e unguentari in vetro di grande pregio. Nel cortile è esposto un mosaico del III secolo, ritrovato nei pressi dell’antico porto della città.